In merito a ciò che sta accadendo in queste ore in Kenya, il portale Malindikenya.net diretto dall’amico Freddie Del Curatolo scrive quanto segue:
“Ore di tensione, tristezza e preoccupazione per la sorte della volontaria italiana Silvia Romano, scomparsa ormai da un giorno e mezzo e forse ancora in mano a un manipolo di banditi nell’entroterra costiero.
Basterebbero questo, un po’ di rispetto e di silenzio di attesa per ripulire una brutta storia che speriamo si concluda al meglio, dal fango mediatico come sempre caduto addosso a chiunque abbia a cuore le sorti dei nostri connazionali in Kenya e di questo Paese non facile ma molto meno insicuro ed inospitale di come lo si dipinge. Kenya troppe volte finito impropriamente sulle pagine dei giornali e dei (troppi) siti online che dovrebbero fare informazione, per non parlare del bordello dei social network.
Fandonie, esagerazioni, congetture e titoloni assurdi (alcuni fortunatamente ritrattati e modificati) hanno fatto da contorno a questa amara vicenda.
Oggi, sperando nel frattempo di ricevere buone notizie, rappresentanti della comunità italiana, delle istituzioni locali e del settore turistico hanno indetto una conferenza stampa a Malindi per fare chiarezza in primis con i media locali sull’informazione sensazionalista e tendenziosa che, anche se non sempre in malafede, rischia di aggiungere all’ansia per la sorte di Silvia un grave danno a questo Paese e alla sua gente, colpendolo nel settore turistico che è la maggiore fonte di guadagno della zona costiera.
Noi continuiamo a viaggiare controcorrente, cercando di informare in maniera seria, confutata e senza il bisogno di acchiappare lettori o clic, ma per raccontare le pieghe e le vicende di questo Paese e l’integrazione dei nostri connazionali in terra d’Africa”.
Tra l’altro, oggi il settore turistico di Malindi e Watamu ha organizzato una conferenza stampa per ribadire che la zona dove si è svolta l’azione criminosa che ha portato al rapimento di Silvia Romano, è ben distante dalle località turistiche balneari del Kenya e che oltretutto anche in quell’area remota dell’entroterra è il primo episodio di questa gravità. Anche questa volta si sente la necessità di fermare quella catena mediatica che rischia di mettere immotivatamente in ginocchio un’intera industria, da cui dipendono migliaia di lavoratori keniani e molti investitori non solo italiani.
Alla triste vicenda accaduta non può e non deve aggiungersi anche un possibile ennesimo grave danno per questo Paese.
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